Il racconto della Coreggia

0-Premessa- Una descrizione “emozionale”

Il mio contributo parte dall’esperienza personale degli ultimi 13 anni vissuti in Puglia e della lenta e progressiva marcia di avvicinamento allo “spirito del luogo” …concetto complesso e sfuggente sul quale si sono esercitati schiere di teorici e legislatori tramite l’invenzione di ogni sorta di categorie operative (es. “Descrizione Fondativa” nella Legge Urbanistica regionale Ligure o “Statuto dei luoghi” nel Piano Paesistico Regionale Puglia”); lo scopo di tali descrizioni è quello di condividere e diffondere una serie di conoscenze sul territorio ;

Nel mio racconto si allude con linguaggio non specialistico e seguendo il flusso dei ricordi ai vari caratteri identitari (fisici, antropici, socioeconomici, storici ecc) che un forestiero come me ha percepito (e introiettato) tramite la conoscenza diretta degli abitanti, l’esperienza percettiva dei paesaggi, l’apprendimento delle tecniche costruttive tradizionali, la persistenza dei miti ecc. ecc. cercando di trasmettere in rapida sintesi come e perché Coreggia può diventare “luogo dell’anima”.

Il mio racconto non vuole in alcun modo sostituire quello dei gruppi e delle correlate competenze ma semmai suggerire una modalità che travalicando le varie discipline coinvolte consenta una visione sintetica ed empatica (trandisciplinare) dei caratteri identitari di supporto alla “Visione di futuro” per Coreggia.

1-L’attrazione dei “trulli”

Sono arrivato alla Coreggia per caso…spinto da mio cugino a rilevare un “trullo” in contrada Calmerio per farne la casa della mia vecchiaia e realizzare il desiderio che a tanti emigrati Pugliesi arriva imperiosamente in tarda età: Ritornare alla propria terra natale!

L’acquisto si rivelò più impegnativo di quanto pensassi: al trullo (1 cono e due piccole “lamiette”) era annesso un magnifico uliveto centenario che su consiglio dell’allora Capo ripartizione (Franco Aquilino che istruì la pratica di restauro ed ampliamento) rilevai per intero in modo da evitare future “convivenze”! Quasi un ettaro di terra rossa con 90 alberi! Mi sembrava grandissimo!

2-I miei vicini

In effetti la sensazione di infinito era accentuata dall’assenza di insediamenti vicini….  I trulli di Santina Pistoia e la masseria di Anna e Lorenzo Liuzzi erano distanti…. Andai a conoscere  Santina e venni sbalzato indietro nel tempo……oltrepassata la veranda vetrata da dove Santina era di costante vedetta ad ogni ora del giorno lo spazio antichissimo dei coni mi risucchiò fino a giungere nella camera di suo marito Luigi che giaceva semiparalizzato in un letto  sovrastato da un’enorme ruota/marchingegno in legno e carrucole e funi……Santina piangeva per le condizioni durissime di sopravvivenza……più tardi volle accompagnarmi in cantina dove mostrò contenitori con grandi serpenti che secondo lei avevano proprietà curative;

Anna e Lorenzo invece apparivano ancora attivi in un’abitazione ristrutturata con annessa una grande proprietà, una piccola stalla per le mucche e gli asini, una latteria dove produrre formaggio…regnava un ordine perfetto…Lorenzo mi si attaccò con quel suo inconfondibile “sient’à me “ansioso di trasmettermi tutta la sua esperienza di vita… da Anna sentii per la prima volta la nozione di “àffascina” …magia messa in pratica anni dopo da Lorenzo per allontanare dal mio campo una bufera di grandine….

3-La tecnica

Iniziò la costruzione e quel periodo fu eroico ed indimenticabile grazie a Giacomo Palmisano, il mastro trullaro che mi mostrò l’arte di lavorare la pietra che, sotto le sue mani, diventava burro… Il trullo (della “Locca”) era divenuto, nel tempo un “Palmento” segnalato dall’inclinazione del pavimento verso un piccolo foro comunicante con due piccole cisterne sottostanti…quello che sembrava un camino era una bocca aperta verso strada per scaricare l’uva da pigiare…..alla prima ramazzata centinaia di topi schizzarono via in mille direzioni….poi cominciò lo smontaggio delle chiancarelle e la sistemazione della candela e dentro  lo smontaggio e rimontaggio degli archi……le regole dell’ufficio tecnico di Alberobello imponevano una netta distinzione tra il manufatto antico e l’ampliamento contemporaneo….le nuove edificazioni dovevano essere a stereometria semplice con copertura piana ma non volli rinunciare all’uso di tecniche e materiali locali; il modulo rettangolare venne realizzato con muratura in tufo a “falso piombo” sulla quale venne impostata una volta in pietra base per il terrazzo pavimentato di pietra leccese…. disegnai la geometria della volta in modo accurato dando le misure dei singoli conci e girai le segherie di Trani alla ricerca di qualcuno in grado di produrle ma Giacomo alla fine preferì fare da solo…. dal terreno magicamente affioravano pietre di svariate dimensioni e mise i suoi (sofferenti) figli a raccoglierle, le lavorò singolarmente …. poi dette un’occhiata alla sezione, realizzò le centine, fece il riempimento e ricoprì il tutto con pietra leccese rifiutando l’impermeabilizzazione in guaina bituminosa (la casa, mi disse, doveva respirare!); l’ingegnere che mi affiancava per la pratica sismica tentò invano di consigliarmi la soluzione più “economica” (solaio e volta in cartongesso) ma ancora oggi quando sono in quello spazio comprendo il miracolo di  questa terra aspra che sputando pietre ha consentito ai suoi figli la creazione di un paesaggio costruito indimenticabile! Sia la nuova copertura che il trullo furono collegate alla cisterna: ogni goccia d’acqua piovana andava a incrementare la riserva!

4-Il contesto paesaggisti

Dal terrazzo lo sguardo spazia a 360° su un paesaggio “ordinato”: il manto verde smeraldo degli ulivi saldamente piantato nella terra rossa tagliata dalla rete dei muri a secco e punteggiato da grandi querce che talora diventavano boschi (di “fragno”) ancora oggi mi interroga sul lavoro interminabile del “popolo di formiche” capace di costruire (e mantenere) un paesaggio unico al mondo! Coreggia è a quasi 500 metri s.l.m. e da qui apprezzavo la dolcezza dei rilievi murgiani, i dolci saliscendi che confluivano nel lungo canale di Pirro (nel quale Giacomo vagheggiava la costruzione di un aeroporto turistico!) prima meraviglia che ti accoglie quando Sali da Monopoli e di cui capirai il significato profondo quando ti diranno delle “pile” e dell’acqua che percorre il sottosuolo carsico e ricco di grotte….

5-La manutenzione

E a proposito di manutenzione del paesaggio…. Giacomo prima di lasciare il cantiere mi regalò la ricostruzione di un muro crollato su strada;

anni dopo vidi Lorenzo impegnarsi nella stessa opera di riparazione: il gigantesco muro di separazione tra orto e uliveto era parzialmente crollato e fu ricostruito senza indugio…

6-Il”Principio insediativo”- le Contrade- i villaggi-le città

Poi cominciai ad “abitare” il territorio e la prima scoperta fu che in questo altopiano qualsiasi direzione prendessi il paesaggio era “ordinato” dalla geometria dei campi, dai confini in pietra, dalla trama dei coltivi e dalle macchie di bosco, dalla presenza dei trulli, con una ricorsività ossessiva esaltata dall’assenza dei cartelloni pubblicitari…. Era questa “la Natura dell’Ordine”? La dilatazione d’area vasta di componenti paesaggistici tutti frutto del lavoro durissimo nella e per la Terra? Scoprii “le contrade” …segnalate da piccoli cartelli con nomi buffi (Impalata, Santa Lucia, Gorgofreddo, La Cupa, Mancinella, Guaguino, Calmerio, Carbotiello ecc.) alludevano ai toponimi antichi che designavano masserie, gravine, boschi…i piccoli centri, Coreggia, San Marco, Lame di Olimpia, Marinelli ecc.  erano il riferimento della “campagna abitata” basata su una miriade di piccole proprietà con una struttura socioeconomica basata sulla convivenza di famiglie allargate che indipendentemente dai mestieri esercitati continuavano a mantenere coltivata e ordinata la proprietà.piccoli centri di riferimento delle contrade non hanno connotazioni urbane “spinte” …di solito sono presenti i servizi essenziali (la chiesa, uno spaccio, talvolta la scuola e la farmacia…l’abitato riutilizza antichi tracciati con un principio insediativo semplice di case lungo strada con deviazioni perpendicolari di “tratturi” trasformati in strade di distribuzione a servizio dell’abitato sparso (Santina era orgogliosa della trasformazione di via Calmerio da bianca ad asfaltata). Nel tessuto coesistono talvolta brandelli di campagna utilizzati ad orto (“orto urbano”) curati religiosamente da chi come Giacomo (Pastore) alla cura della terra ha dedicato la vita! (da giovane, impiegato nelle ferrovie di stanza a Milano, ogni sabato tornava “alla Coreggia” per curare la terra).

7-La fatica della terra

La mia carriera di contadino fu troncata sul nascere da Giacomo trullaro che, vedendomi armeggiare faticosamente con la zappa me la strappò di mano esclamando “dai qua! Gino! Che a te la zappa non ti canosce”; lo stesso accadde per la cura degli ulivi…. Mi aveva insegnato a staccare i fittoni con un colpo secco del dorso di una piccola accetta e un mattino  orto e uliveto affrontai i miei novanta ulivi assaltato dai calabroni e semiparalizzato a sera per il mal di schiena…… negli anni successivi chiesi aiuto al mio vicino Angelo, contadino professionista, che mi illustrava con dovizia di particolari ogni fase della cura: ogni anno il campo andava arato (senza uso di diserbanti per la feroce opposizione di mia moglie ad ogni sostanza chimica), le piante andavano potate, liberate dai fittoni ecc. poi verso fine anno c’era la raccolta che si svolgeva in un clima di festa con il via vai dell’Ape al frantoio di Giorgio….ricordo l’impaziente attesa di sapere  “la resa” finale del raccolto…..un’anno si sfiorarono 300 litri d’olio…

8-Camminare

Non c’è niente come il camminare per conoscere un territorio…. La mia passeggiata mattutina si faceva sempre più curiosa … un mattino scoprii che dalla masseria Liuzzi si accedeva alla ciclovia dell’acquedotto e con l’amico Paolo la percorremmo in direzione di San Marco valicando il ponte di Cecca immersi nella natura e infastiditi dallo scoppiettio di stupidi scrambler………da Coreggia non un’indicazione e lungo il percorso notammo l’assenza di manutenzione….

Coreggia è un microcosmo fuori dal tempo ma centrale rispetto alle belle città murgiane…pur essendo figlia di Alberobello non vive del turismo di massa…. attrae il turismo “lento”, i ciclisti, i camminatori …. non sono riuscito a trovare sentieri di campagna collegati con la “Capitale” … a parte la discesa mattutina al mare con la meraviglia del paesaggio della piana che ti si srotola lungo la panoramica, la sera puoi raggiungere città bellissime che hanno ognuna un proprio distintivo carattere…e che d’estate diventano luoghi di cultura e svago…. Il ritorno a Coreggia è sempre una conferma: il mondo è vicino ma puoi sempre rientrare in quest’altro mondo in cui il tempo sembra cristallizzato e l’armonia prevale sul caos contemporaneo.

9-Conclusione (provvisoria)

Ogni capitolo di questa breve sintesi della mia vita a Coreggia contiene spunti per una descrizione puntuale;

La premessa (0) suggerisce una modalità di sintesi per avviare la Descrizione Fondativa della Coreggia; 1 chiarisce perché “il forestiero“ viene attratto da uno specifico luogo senza conoscerlo, in 2 si annotano alcuni tratti antropologici dei correggiani; in 3 l’esperienza della costruzione evidenzia il valore di tecniche e pratiche sulle quali si basa il patrimonio testimoniale della Murgia; 4 tenta di rappresentare i caratteri fisici attraverso l’esperienza percettiva accennando ai caratteri naturalistici, idrogeologici e tettonici d’area vasta; 5-Il concetto di “manutenzione” è più vasto degli esempi riportati e va integrato successivamente; in 6 vi sono sommari elementi di “inquadramento Territoriale”; 7 parla ancora della fatica della terra; 8 invita a indagare la possibilità di attivare una rete di “mobilità dolce” che leghi in modo chiaro e forte  la frazione alla sua città madre e che consenta di ampliare l’esplorazione con la riscoperta di antichi tratturi…..

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